La domanda è solo apparentemente banale e per nulla provocatoria.
La ricerca della Felicità, ovvero il diritto alla Felicità, vale anche per ogni persona con disabilità?
La risposta non è così ovvia come invece dovrebbe essere.
Lo dicono con voce unanime le tante madri e i tanti padri (a nome anche di tutte le famiglie che rimangono invisibili), che rivendicano il diritto a una vita piena (felice!) per i loro figli, fatta in fondo di semplice normalità. Scontata normalità, per chi la disabilità non la vede. O meglio, non la vuole vedere. Lo urlano dalle loro case, dalle strade delle loro città, dai teatri in cui vorrebbero entrare, dagli alberghi in cui non possono prenotare la loro vacanza e da quelli in cui sono invitati, come se fosse questa la normalità, a farsi da parte per non disturbare la “benpensante” clientela cosiddetta normodotata.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito che il 20 marzo di ogni anno a partire dal 2013 (risoluzione 66/281 del 28 giugno 2012) si celebri la Giornata Internazionale della Felicità (International Day of Happiness), per riconoscere il valore fondamentale che riveste la Felicità nella vita delle persone, in tutto il mondo, e l’importanza che ha per ciascuno il suo perseguimento. Attraverso questa Giornata, l’ONU designa la rilevanza della Felicità e del benessere come obiettivi e aspirazioni universali, che ogni essere umano deve poter perseguire, ovunque si trovi nel mondo, senza distinzione di alcun genere; e dunque sull’importanza che ogni Paese deve riservare a questo riconoscimento negli obiettivi di politica nazionale perché venga promosso globalmente lo sviluppo sostenibile, l’eliminazione della povertà, la Felicità e il benessere di tutti i popoli.
Ma come si misura la Felicità e il benessere di un popolo?
“Un ambiente sociale felice è quello in cui le persone percepiscono un senso di appartenenza, un posto in cui gli uni si fidano degli altri e delle loro istituzioni condivise. In un ambiente sociale felice c’è più resilienza, poiché la fiducia condivisa riduce il peso delle difficoltà, e quindi diminuisce la disuguaglianza del benessere”.
Lo ha affermato John Helliwell, Senior Fellow dell’Istituto Canadese per la Ricerca Avanzata (CIFAR – Canadian Institute for Advanced Research), un’organizzazione di ricerca globale con sede in Canada, che riunisce menti straordinarie per discutere le questioni più importanti che la scienza e l’umanità devono affrontare.
Così parlano i massimi ricercatori mondiali.
Ma ancora troppo spesso le famiglie con disabilità si scontrano con un ambiente sociale ben altro che felice. Che cos’è davvero la Felicità per i loro figli, così, lo dicono le tante mamme e i tanti papà che si sgolano, a testa alta e ormai a spalle larghe, per reclamare proprio il diritto a quella Felicità loro negata.
Come Elena per la sua Francesca, che non riesce ad andare a teatro per vedere i suoi beniamini in concerto, insieme ai suoi amici. Lei che il palco lo conosce e lo calca da tempo, ma da attrice! Perché le norme di sicurezza prevedono solo due posti per carrozzina in tutto il teatro (posti tra l’altro non disponibili perché se li sono accaparrati due abbonati).
“Si tratta di un atto discriminatorio: se la sicurezza non è inclusiva, allora forse andrebbe rivista la sicurezza. Non si può parlare di inclusione reale se non si attuano tutti gli strumenti necessari affinché tutte le persone possano accedere a pieno titolo in tutti i luoghi aperti al pubblico” afferma Elena Piantanida che, in quanto architetto, conosce molto bene la problematica e raccoglie da tutta Italia segnalazioni di persone con disabilità che si sono viste negare l’accesso a concerti, spettacoli, mostre “per motivi di sicurezza”. “In Italia c’è un evidente problema di accessibilità dei teatri e degli spazi per eventi. Questo è l’ennesimo episodio che tante persone con disabilità si trovano troppo spesso a vivere. Affrontare il problema è una questione di volontà e di priorità… Lo Stato e gli enti locali devono considerare la piena fruibilità dei luoghi di cultura per tutti i cittadini come un’assoluta priorità, anche rispetto ad altre legittime esigenze di tutela che però a volte limitano ottusamente le possibilità di intervento”.
Come Cecilia, che dà voce al suo Tommaso denunciando un surreale più che spiacevolissimo episodio: “Sono Tommaso, ragazzo cieco che non parla. Ho ricevuto un atto di pesante discriminazione… Mi trovavo presso l’Hotel Colbricon di San Martino di Castrozza. Degli ospiti della sala ristorante erano infastiditi dalla mia presenza e se ne sono lamentati con l’albergatrice, che ha proposto ai miei di prendere i pasti successivi in una saletta separata dai vetri ambrati oscurati. Lo ha proposto a noi e non a loro… Sono stato trattato come un cane non ammesso nella sala ristorante comune. Ovviamente siamo ripartiti perché non è piacevole restare dove non si è graditi. Vacanze rovinate e tanto ma tanto amaro in bocca”.
La struttura, stretta nella morsa mediatica, ha dichiarato che l’hotel ha agito in tal modo per garantire il benessere (!) di tutti (!) i suoi ospiti e che è stato proposto a Cecilia e Remo di spostarsi in una saletta intima, raccolta, non per isolare Tommaso ma al contrario, per offrire “un luogo nel quale a Tommaso venissero garantite la massima discrezione e la possibilità di esprimersi liberamente”.
Ovviamente, i conti non tornano. Benessere, di chi? Tutti chi, precisamente?
Il benessere e la Felicità di Tommaso sono stati presi in considerazione? La struttura ha garantito, e quindi soddisfatto, il suo diritto a vivere quel momento di vacanza in totale serenità, esattamente come per tutti gli altri ospiti?
Sarebbe tuttavia troppo facile, d’altra parte, lasciar ricadere tutte le colpe sulla cattiva gestione dell’hotel. Non potrà esserci vera inclusione finché ci sarà gente che ancora si lamenta (di cosa?), rifiuta (chi?), si gira dall’altra parte (perché?), e pretende di vivere in un mondo fatto su misura per sé. Superfluo ricordare che storicamente questo modo di pensare ha dato origine a una delle più grandi tragedie della storia dell’umanità, in un passato ancora così vicino. Con rammarico e delusione bisogna affermare che non ne siamo ancora usciti. La lezione non è stata appresa. Episodi del genere accadono ancora con una frequenza inaudita, con un impatto psicologico enorme sulle persone con disabilità e sulle loro famiglie. La responsabilità ultima (o prima) di tutto questo modo di rapportarsi non inclusivo da parte della società nei confronti, più in generale, di chi si trova in una condizione di fragilità è fortemente ancorata a quelle barriere culturali che, forse ancora più di quelle fisiche, si fatica ancora ad abbattere.
Come Morena, che lancia il suo grido di aiuto per Jacopo attraverso un appello:
“Ciao, sono Morena la mamma di Jacopo. Da anni assistiamo nostro figlio affetto da encefalopatia da cytomegalovirus con crisi epilettiche di forma aggressiva e rara. Raggiunta ora l’età di 31 anni ed un peso di circa 90 kg abbiamo grosse difficoltà nei trasferimenti casa-scuola e visite. Abbiamo l’urgente necessità quindi di costruire un ascensore esterno alla nostra abitazione il cui preventivo si aggira attorno ai 60.000 €. Non disponiamo di questa cifra ed abbiamo bisogno del vostro caloroso contributo.”
Jacopo ha bisogno di uscire semplicemente di casa. Non è accettabile che una madre arrivi a chiedere pubblicamente un aiuto economico per garantire al proprio figlio la possibilità di vivere delle relazioni e una vita sociale fuori dalle mura domestiche. Dove è il suo diritto a godere liberamente dell’aria, del sole, del vento sulla pelle? È garantito pienamente il suo diritto allo studio, il suo diritto di cura… il suo diritto alla Felicità, se non può neppure uscire di casa?
Come Marina, che vorrebbe trascorrere qualche giorno di relax con tutta la famiglia quest’estate, magari in un Villaggio 4 stelle, magari in Abruzzo. Ma non può. Famiglia troppo numerosa, pare. Così lo racconta lei:
-Salve buongiorno. Chiamo per una informazione. Avete appartamenti adibiti per persone con disabilità? Siamo in 5.
-No. Mi dispiace. Abbiamo solo un appartamento per disabili ma max quattro persone.
E pensare che Marina non ha neppure detto che le sedie a rotelle erano due!
“Mi piacerebbe conoscere chi stabilisce i criteri (o i discrimini antidiscriminazione) per l’assegnazione delle stelle alle strutture cosiddette ricettive” conclude Marina, puntando il dito sul quel turismo davvero inclusivo di cui ancora il nostro Paese non ha compreso il valore, oltre che l’immensa portata anche in termini economici.
Ma allora che cos’è la Felicità?
La Felicità è solo una parola, che va riempita: di momenti felici. E i momenti felici, il più delle volte, sono racchiusi nelle cose semplici. Un gelato senza rimanere ad aspettare fuori, una passeggiata senza fare slalom assurdi, assistere a uno spettacolo, un concerto, un evento, riuscire ad andare a scuola in sicurezza, andare al parco-giochi e riuscire anche a giocare, viaggiare… Queste e tante altre cose, anzi tutte le altre cose semplici così, sono la Felicità.
I nostri bambini, i nostri ragazzi, e in generale le persone con disabilità, sono spesso definiti “eroi” per le difficoltà che sono costretti ad affrontare. Ma loro non vogliono essere eroi: vogliono solo essere Felici.
Bisogna abbattere tutte le barriere fisiche e culturali, materiali e ideologiche che rendono la vita ancora più difficile alle persone e alle famiglie con disabilità.
I tempi ormai sono maturi, gli strumenti a disposizione. Se non si fa è solo per mancanza di volontà.
La politica si impegni seriamente a legiferare per il bene (e la Felicità) di tutti. I luoghi della cultura, tutti, lavorino per un cambiamento vero dei paradigmi culturali della società e sulla formazione delle nuove generazioni, affinchè sia eliminata qualsiasi forma di discriminazione.
Un Paese che non garantisce la possibilità a tutti i suoi cittadini, in ugual misura, di vivere la vita che ciascuno vuole vivere, come vuole viverla, non è degno di essere chiamato civile, come d’altra parte recita l’art. 3 della nostra Costituzione:
<<Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.>> Se non si parte da questo principio costitutivo fondamentale, a tutti livelli, l’Onu potrà proclamare tutte le Giornate Internazionali possibili ma il diritto alla Felicità di qualcuno sarà sempre dimenticato o, peggio, calpestato.